![Famiglia Adduci fine Ottocento](https://www.cerchiaramemorie.it/wp-content/uploads/2020/05/Famiglia-Adduci-fine-800i_Fotor-e1588345875156-300x228.jpg)
Fine Ottocento. Una foto in bianco e nero come se ne vedono tante. E’ appesa con la sua cornice nel palazzo storico del paese, in quel che un tempo era il quartiere ‘borgo’, accanto ad una finestra da cui filtrano vigorosi e abbaglianti i riflessi dello Jonio. Mi attrae, ma non so il perché. Davanti a me: un quadro di famiglia, abiti eleganti, capigliature accurate. Disposti su due file gli Adduci della fine dell’Ottocento, tutti ordinatamente schierati, nonostante una certa rigidità di maniera, con abiti ricercati e composti: ciascun particolare è stato curato nei minimi dettagli, dalle acconciature alle posture delle mani. In alto, a sinistra, barba bianca corta e ben tenuta di don Domenico Adduci, allora medico a Plataci. In piedi, poco dietro, donna Maddalena con a fianco donna Carmela e donna Luigina. Chiude in un ieratico profilo, lo sguardo severo di don Rocco Adduci. Sotto, seduta con le mani conserte, in un bel vestito a quadri, donna Brigida Santagada, alla sua destra don Alessandro Adduci, noto avvocato e notaio, poi donna Anna Maria e, seduta tra le braccia del padre (don Gaetano Adduci), la sua piccola nipote omonima. Tutti, ma proprio tutti, hanno un loro posto.
Forse ho capito cos’è che mi ha colpito subito. Anzi, ne sono certo. Tutti mi evitano. Ecco, tutti dirigono accuratamente lo sguardo verso un punto imprecisato dello spazio, anche solo con il fugace movimento degli occhi, evitando tuttavia chiaramente con cura il mio.
Tranne uno.
![](https://www.cerchiaramemorie.it/wp-content/uploads/2020/05/Famiglia-Adduci-fine-800_part_zia-maria_Fotor_Fotor.jpg)
Al centro, seduta, la più anziana (donna Anna Maria) rivolge il proprio severo sguardo dritto davanti a sé; le sopracciglia arcuate, bocca serrata, mani giunte sulle gambe. Minuta, volto rigido e ossuto, capelli raccolti, sguardo fiero, fierissimo. Ora è evidente. Il fotografo ha voluto inscenare un’allegoria delle “tre età dell’uomo” (citando una celebre opera di Giorgione), dove fanciullezza, maturità e vecchiaia si confrontano e si mescolano l’un l’altro. Un chiaro monito alla vanitas e allo scorrere impietoso del tempo. La vita di fronte alla prospettiva della morte e viceversa. Ma aveva voluto far trasparire anche altro, era, infatti, pur sempre una foto di famiglia. Non solo, dunque, una riflessione sul ciclo della vita, ma anche il richiamo travolgente di una persona esistita in carne ed ossa, il rispetto per la sua storia, per il suo fiero ruolo matriarcale di nonna e di madre. La continuità evidente con la prole presente nella foto e di quella invisibile, ma già immaginata, custode e vera destinataria di questa composizione fotografica.
Riflessi, in un caldo bianco e nero, di un’antica famiglia cerchiarese.